Cecilia Granara, Carol Rama at Cassina Projects, curated by Cabinet & Studiolo

Opening Thursday, September 21th, 6-9 pm, Cassina Projects, Via Mecenate 76/45, Milan












Photo: Roberto Marossi, Courtesy Artists and Cassina Projects, Milan


Cassina Project è lieta di presentare “Carol Rama - Cecilia Granara * Occhi, Lingue, Sangue, Stelle *”, doppia personale delle artiste Cecilia Granara (Jeddah, 1991) e Carol Rama (Torino, 1918-2015) a cura di Cabinet, Milano; una mostra che, per la prima volta, mette in parallelo dieci lavori scelti tra la metà degli anni ’50 e i 2000 della ormai celebre artista torinese, scomparsa otto anni fa, con un corpo di pitture ed interventi site-specific inediti, e ad essi liberamente ispirati, della Granara.

Il dialogo artistico tra Carol Rama e Cecilia Granara non trova le sue origini in una consueta ricerca curatoriale – quella solitamente tesa ad individuare ed accostare, da un punto di vista “esterno”, particolari assonanze estetiche o echi concettuali tra due o più artisti – ma bensì dal suo esatto contrario. Il suo è un “incontro” intimo, inaspettato e incidentale, consumatosi nella recente scoperta che Granara fa del lavoro di Rama e che ha tutto il sapore di un parallelismo dalle caratteristiche Borghesiane, milieu letterario dove spesso i destini (o le azioni) di due, o più, protagonisti si intrecciano e convivono paralleli in un perenne stato di indipendenza e separazione.

Granara e Rama, infatti – senza averne consapevolezza e in due periodi spazio-temporali estremamente distanti – si trovano ad obbedire ad un medesimo, innato, impulso irrazionale che le spinge a concepire un’immagine dalla simbologia analoga: una donna-dea sorridente, dal cui sesso entra (o esce!?) un serpente. Questo il soggetto di “Naissance/Puissance” (Nascita/Potenza), un dipinto che Cecilia Granara dipinge nel 2020, ma anche (con grande sorpresa da parte della stessa artista) della serie “Dorina”, gruppo di opere dalla forte carica espressionista realizzate ad acquarello su carta da Carol Rama intorno gli anni ’40; “Dorina” è sicura e spavalda, espone sempre una beffeggiante lingua e dalle sue gambe aperte sfodera anch’essa dei serpenti neri.

Questa imprevedibile convergenza che da quel momento scuote e, allo stesso tempo, “accompagna” la giovane artista nella sua pratica pittorica giornaliera, si concretizza in un’autoanalisi delle motivazioni, convergenti e divergenti, che l’ha spinta molti anni dopo a concepire una medesima immagine. Se per Carol Rama, “Dorina”, rappresenta in prima battuta un atto di riappropriazione individuale del desiderio e della corporalità - ma anche una auto-medicazione che si espleta e sintetizza nella sua celebre frase autobiografia “io dipingo per guarirmi” - per Granara dipingere ha un valore più universale, che tocca il valore benefico della cosiddetta arte-terapia, ma si proietta sin da subito verso l’esterno; un’azione dalle ambizioni collettive, attivistiche, pronta ad esplorare il corpo investito dalle sue crisi emozionali e dai suoi stati di trascendenza. Differenze inevitabili – per logici divari biografici e generazionali – che tuttavia trovano i loro saldi punti di intersezione e di vivido interscambio in tre atteggiamenti fondamentali: nella abituale ricorrenza dell’iconografia femminile, nell’esercizio di una pittura intrinsecamente “politica” e nello scegliere il dolore – nelle sue infinite declinazioni – come profonda fonte primaria di conoscenza.

Per Cecilia Granara, più che una figura simbiotica, Carol Rama diviene un alter-ego con il quale instaurare uno scambio di echi, i cui contenuti – allo stesso modo del fenomeno fisico – sembrano apparentemente i medesimi ma si restituiscono e lei, e a noi, con un sostanziale cambio di frequenza, moltiplicandoli e arricchendosi di significati; un metaforico specchio deformante con il quale l’artista può confrontarsi sulle complessità del corpo, sul dualismo tra morte e pulsione vitale, parlare della pittura come spazio simultaneamente fisico ed emotivo, riprodurre all’infinito occhi, lingue, sangue e stelle.

Un intreccio di livelli emozionali, tematici ed estetici che in mostra trova la sua forma in un layout progettato per poter suggerire, allo stesso tempo, i punti di contatto di questo crossing ma anche i dovuti punti di espirazione; rispettando, quindi, le loro autonomie creative e lasciando spazio alle loro evidenti distanze. I dieci lavori su tela di Granara, tutti disposti ordinatamente lungo le pareti laterali della galleria, osservano quelli di Rama da lontano, senza mai innescare confronti diretti o allusioni eccessivamente didascaliche ma circondandoli come in un abbraccio. Oggetto di questa affettuosa stretta, un muro-totem centrale con nove lavori dell’artista torinese, tutti compresi tra 1950 e i primi anni 2000 e che provano a riassumere il suo convulso e smisurato eclettismo: dalla sua prima fase pittorica, vicina al ramo torinese del Movimento per l’Arte Concreta, ai collages “tassidermici” degli anni ’60, composti utilizzando occhi da bambola, fino ad arrivare alle più recenti composizioni con camere d’aria da bicicletta ed anche ad una selezione dei suoi pennarelli su vecchie carte planimetriche raffigurati lingue, occhi, falli e altri parti del corpo.

Le loro posizioni sulle due facce del muro – intenzionalmente svincolate da qualsiasi consuetudine espositiva – trovano la loro regola, in effetti, nell’essere parte-protesi di un lungo wall painting creato in situ da Cecilia Granara. Raffigurare un corpo che rievochi la similitudine tra “Dorina” e “Naissance/Puissance” – con le sue gambe divaricate dalle quali sgorga e volteggia un sinuoso serpente che avvolge tutto il setto – è l’occasione per la giovane artista di ricordare il punto d’origine di questo confronto e di trovare, in mostra, un unico momento per unirsi fisicamente al lavoro di Rama senza corromperlo ma accarezzandolo dalle spalle.

Cassina Projects is pleased to present "Carol Rama - Cecilia Granara * Occhi, Lingue, Sangue, Stelle *", a duo exhibition featuring Cecilia Granara (*1991, Jeddah) and Carol Rama (*1918- 2015, Turin) curated by Spazio Cabinet, Milan; for the first time, the exhibition brings together ten selected works created between the mid-1950s and 2000s by the renowned artist from Turin, with a new body of paintings and site-specific interventions by Granara freely inspired by Rama’s practice.

The dialogue between Carol Rama and Cecilia Granara does not originate from a conventional curatorial research - an 'external' point of view usually aimed at identifying and juxtaposing specific aesthetic assonances or conceptual echoes between artists - but rather from its exact opposite. This is an intimate, unexpected and incidental 'encounter', which came to be after Granara’s desire to profoundly research Rama’s work and actually gives way to a parallelism of Borghesian characteristics; a literary milieu where the fates (or actions) of two or more protagonists intertwine and coexist in a perpetual state of independence and separation.

Granara and Rama, in fact - without being aware of it and spanning two distant space-time epochs - obeying an innate irrational impulse, both compelled to conceive images tapping into recurring symbolism: a smiling goddess-woman, a snake crawling up her body (or perhaps coming out!?). This is the subject of 'Naissance/Puissance' (Birth/Power), a painting that Cecilia Granara painted in 2021, but also (much to the surprise of the artist herself) of the 'Dorina' series, a group of powerful expressionist watercolours on paper by Carol Rama realised around the 1940s; 'Dorina' is confident and swaggering, she tauntingly stuck out her tongue, conjuring dark serpents from between her spread legs.

The enigmatic fusion that rattles and, in that moment, 'accompanies' the young artist in her daily painting practice, takes the form of self-analysis of convergent and divergent motivations that led her to cast the same image years later. If in first place for Carol Rama, "Dorina" represents an act of individual re-appropriation of desire and corporality - but also a self- medication that is expressed and synthesized in her famous autobiographical phrase "I paint to heal myself" — for Granara, painting has a more universal value, touching on the beneficial value of so-called art-therapy, but projecting itself outwards from the outset; an action of collective, activist ambitions, ready to explore the body invested by its emotional crises and states of transcendence. Inevitable differences - due to logical biographical and generational gaps - that nevertheless find their strong points of intersection and vivid interchange in three fundamental attitudes: in the habitual recurrence of female iconography, in the exercise of an intrinsically 'political' painting and in the choice of pain - in its infinite declinations - as a profound primary source of knowledge.

Rather than a symbiotic figure, Carol Rama becomes for Cecilia Granara an alter-ego with whom she establishes an exchange of echoes, whose contents - in the same way as the physical phenomenon - seem apparently the same but are returned to her, and to us, with a substantial change of frequency, multiplying and enriching them with meanings; a metaphorical deforming mirror for the artist to confront herself on the complexities of the body, on the dualism of death and life instinct, while negotiating painting as a simultaneously physical and emotional space, incessantly reproducing eyes, tongues, blood and stars.


21/09/2023